sexta-feira, 31 de julho de 2009

Canto XXIII

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Come l'augello, intra l'amate fronde,

posato al nido de' suoi dolci nati
la notte che le cose ci nasconde,

che , per veder li aspetti disiati
e per trovar lo cibo onde li pasca,
in che gravi labor li sono aggravati,

previene il tempo in su aperta frasca,
e con ardente affetto il sole aspetta
fiso guardando pur che l'alba nasca;

così la donna mia stava eretta
e attenta, rivolta inver' la plaga
sotto la quale il sol mostra men fretta:

si che, veggendola io sospesa e vaga,
facimi qual è quei che desiando
altro vorria, e sperando s'appaga.

Ma poco fu tra uno e altro quando,
del mio attender di, dico, e del vedere
lo ciel venir giù e più rischiarando;

e Beatrice disse: "Ecco le schiere
del triunfo di Cristo e tutto 'l frutto
ricolto del girar di queste sfere!".

Paremi che 'l suo viso ardesse tutto,
e li occhi avea di letizia si pieni,
che passarmen convien senza costrutto.

Quale ne' plenilunii sereni
Trivia ride tra le ninfe etterne
che dipingon lo cielo per tutti i seni,

vid'ì sopra migliaia di lucerne
un sol che tutte quante l'accenda ,
come fa 'l nostro le viste suprene;

e per la viva luce trasparea
la lucente sostanza tanto chiara
nel viso mio, che no la sostenea.

Oh Beatrice, dolce guida e cara!
Ella mi disse: "Quel che ti sobranza
è virtù da cui nulla si ripara.

Quivi è la sapienza e la possanza
ch'apri le strade tra cielo e la terra,
onde fu già si lunga disianza".

Come foco di nube si diserra
per dilatarsi che non vi cape,
e fuor di sua natura in giù s'atterra,

la mente mia così, tra quelle dape
fatta più grande, di sè stessa uscìo,
e che si fesse rimembrar non sape.

"Apri gli occhi e riguarda qual son io;
tu hai vedute cosa, che possente
se'fatto a sostener lo riso mio".

Io era come quei che si risente
di visione oblita e che s'ingegna
indaro di ridurlasi a la mente,

quand'io udi' questa profeta, degna
di grato, che mai non si stingue
del libro che 'l preterito rassegna.

Se mo sonasser tutte quelle lingue
che Polimnia le suore fero
del latte lor dolcissimo più pingue,

per aiutarmi, al millesimo del vero
non si verria, cantando il santo riso
e quando il santo aspetto facea mero;

e cosi, figurando il paradiso,
convien saltar lo sacrato poema,
come chi trova cammin riciso.

Ma chi pensasse il poderoso tema
o l'omero mortal che se ne carca,
nol biasmerebbe se sott'esso trema:

non è pareggio da piccola barca
quel che fendendo va l'ardita prora,
nè da nocchier ch'a sè medesmo parca.

"Perchè la faccia mia si t'innamora,
che tu non ti rivolgi al bel giardino
che sotto i raggi di Cristo s'infiora?

Quivi è la rosa in che 'l verbo divino
carne si fece; quivi son li gigli
al cui odor si prese il buon cammino".

Così Beatrice; e io che a' suoi consigli
tutto era pronto, ancora mi rendei
a la battaglia dè debili cigli.

Come a raggio di sol, che puro mei
per fratta nube, già prato di fiori
vider, coverti d'ombra, li occhi miei;

vid'io di turbe e di splendori,
folgorate di sù da raggi ardenti,
sanza veder principio di folgòri

O benigna vertù che sì lì 'mprendi
sù t'essaltasti, per largirmi loco
a li occhi lì che non t'eran possenti.

il nome del bel fior ch'io sempre invoco
e mane e sera, tutto mi ristrinse
l'animo ad avvisar lo maggior foco;

e come ambo le luci mi dipinse
il quale e il quantode la viva stella
che là sù
vinse come qua giù vinse,

per entro il cielo scese una facella,
formata in cerchio a guisa di corona,
e cinsela e girossi intorno ad ella.

Qualunque melodia più dolce suona
qua giù e più
a se l'anima tira,
parrebbe nube che squarciata tona,

comparata al sonar di quella lira
onde si coronava il bel zaffiro
del quale il cielo più chiaro s'inzafira

"Io sono l'amore angelico, che giro
l'alta letizia che spira del ventre
che fu albergo del nostro disiro;

(...)

- Dante Alighieri - Paraíso, Canto XXXIII.

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